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🗞️L’economia italiana è cresciuta ignorando i danni prodotti all’ambiente: così la salute ne risente

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L’economia italiana è cresciuta ignorando i danni prodotti all’ambiente: così la salute ne risente

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2024-04-07 - Paolo Ricci (from Il Fatto)

E’ ormai acclarato che la nostra economia, più di altri Paesi europei, è cresciuta ignorando totalmente i danni prodotti all’ambiente naturale che si sono poi riverberati sulla salute umana. I report dello Studio Sentieri, che analizza e monitora gli effetti sanitari dei Siti inquinati d’Interesse Nazionale (Sin), osservano eccessi di mortalità, soprattutto neoplastica e anche […] L'articolo L’economia italiana è cresciuta ignorando i danni prodotti all’ambiente: così la salute ne risente proviene da Il Fatto Quotidiano.

E’ ormai acclarato che la nostra economia, più di altri Paesi europei, è cresciuta ignorando totalmente i danni prodotti all’ambiente naturale che si sono poi riverberati sulla salute umana. I report dello Studio Sentieri, che analizza e monitora gli effetti sanitari dei Siti inquinati d’Interesse Nazionale (Sin), osservano eccessi di mortalità, soprattutto neoplastica e anche di malformazioni congenite, nonostante in diversi di questi siti le attività industriali, avviate soprattutto nel secondo dopoguerra, siano state dismesse oppure sottoposte ad interventi di bonifica. Questo per sottolineare quanto diffusivi e persistenti siano gli effetti di certe scelte che si limitano a valutare i benefici nel breve periodo, ignorando totalmente la dimensione del futuro, anche di quello più prossimo. Sull’altare dell’occupazione e del mitico progresso, le forze sociali tutte, più o meno inconsapevolmente, hanno infatti sacrificato l’equilibrio idrogeologico e la stessa salubrità del territorio. Cosi si sono costruite e poi abbandonate le periferie di molte città, in funzione delle esigenze di un ciclo economico manufatturiero che, per ragion di mercato, si è progressivamente spostato sempre più a Oriente, come abbiamo potuto tutti quotidianamente sperimentare durante la pandemia Covid. Le nicchie produttive ad alta qualità tecnologica non mancano certamente in Italia, però il loro impatto sul PIL rimane marginale. Anche le nostre spiagge e montagne hanno versato il proprio contributo e più di tanto non possono rendere, quindi si è guardato ai “gioielli di famiglia”: le città d’arte. E senza far tesoro alcuno dell’esperienza storica, si è abbracciata l’ennesima monocultura da sfruttare fino all’ultima goccia, con la miopia di sempre. Sono infatti molte ormai le città d’arte travolte dalle ondate turistiche. Per far fronte alla crescente domanda alberghiera, accanto ai più noti B&B si sono aggiunte le cosiddette affittanze turistiche, cioè la cessione in affitto, da pochi giorni fino a qualche settimana, di appartamenti tradizionalmente destinati alla locazione residenziale. I vantaggi consistono nel mantenere sempre la disponibilità del bene e nel poter esigere canoni giornalieri superiori a quelli alberghieri. E’ vero che il deperimento è inevitabilmente maggiore, cui si aggiungono i costi per la pulizia e i servizi accessori di prenotazione su piattaforma web, ma il margine di guadagno rimane comunque sempre favorevole, soprattutto quando la gestione viene assunta direttamente dal proprietario dell’immobile o quando si riesce ad evadere più o meno parzialmente il fisco, operazione che risulta più difficile per una classica struttura alberghiera. Gli effetti sono stati un crollo dell’offerta di locazione tradizionale con un correlato caro-affitti. Ed ecco che i contesti urbani hanno subìto un pesante stravolgimento: i residenti, soprattutto se giovani, hanno abbandonato queste città migrando nei più economici comuni limitrofi e i negozi di vicinato, in conseguenza del venir meno della residenzialità, hanno ceduto l’attività a soggetti economici subentranti più allineati con la domanda turistica. Accanto ai negozi paccottiglia, ecco il proliferare di bar, ristoranti e minimarket, o meglio di fantasiose loro ibridazioni. La tendenza è inesorabile: ai piani inferiori degli edifici dei centri storici si mangia o si parcheggia l’auto nei limitrofi locali riconvertiti in garage, ai piani superiori si alloggia per brevi vacanze. La superficie urbana non va sprecata e del riscaldamento climatico bisogna pur approfittare, quindi si espandono i plateatici nel tempo stagionale e nello spazio urbano, occupando piazze e vie, e se possibile anche qualche marciapiede. Pazienza per i disabili. La città storica diventa come il maiale: non si butta via nulla. Se poi assomiglia ad una grande mensa all’aperto, si dice che è un centro vivo e non un cimitero, soprattutto quando i plateatici sono allietati fino a notte fonda con musica da discoteca e vocianti compagnie. La produzione di rifiuti diventa esponenziale e le Ztl devono cedere le maglie alla necessità di continui rifornimenti alimentari, cambi biancheria, servizi catering, manutenzioni da accresciuta usura, mobilità degli ospiti nelle strutture recettive. Sacrati e monumenti diventano aree picnic per turisti meno danarosi. Massimo spazio alla platea dei consumatori. I residenti sopravvissuti, spesso anziani, resistono ormai blindati nei propri appartamenti, ma mostrano sempre più evidenti segni di grave malessere. E di queste città abbandonate alla totale deregulation urbanistica cosa rimane? Vuoti simulacri, ma non solo. La connessione comunitaria è un importante determinante della salute in grado di compensare molte fragilità individuali, soprattutto quando il welfare subisce importanti cedimenti come sta drammaticamente accadendo in questi ultimi anni con la conseguente accentuazione delle disuguaglianze sociali. La salute è lo specchio dell’ambiente in cui viviamo. Ambiente non è però solo Natura ma anche Cultura. Prendersene cura sotto tutti i profili è il momento fondativo del concetto di One Health. L'articolo L’economia italiana è cresciuta ignorando i danni prodotti all’ambiente: così la salute ne risente proviene da Il Fatto Quotidiano.

[Italy] 🌎 https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/04/07/leconomia-italiana-e-cresciuta-ignorando-i-danni-prodotti-allambiente-cosi-la-salute-ne-risente/7500405/ [🧠] [v2] article_embedding_description: {:llm_project_id=>"Unavailable", :llm_dimensions=>nil, :article_size=>7008, :llm_embeddings_model_name=>"textembedding-gecko"}
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Title: L’economia italiana è cresciuta ignorando i danni prodotti all’ambiente: così la salute ne risente
Summary: E’ ormai acclarato che la nostra economia, più di altri Paesi europei, è cresciuta ignorando totalmente i danni prodotti all’ambiente naturale che si sono poi riverberati sulla salute umana. I report dello Studio Sentieri, che analizza e monitora gli effetti sanitari dei Siti inquinati d’Interesse Nazionale (Sin), osservano eccessi di mortalità, soprattutto neoplastica e anche […]
L'articolo L’economia italiana è cresciuta ignorando i danni prodotti all’ambiente: così la salute ne risente proviene da Il Fatto Quotidiano.

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E’ ormai acclarato che la nostra economia, più di altri Paesi europei, è cresciuta ignorando totalmente i danni prodotti all’ambiente naturale che si sono poi riverberati sulla salute umana.
I report dello Studio Sentieri, che analizza e monitora gli effetti sanitari dei Siti inquinati d’Interesse Nazionale (Sin), osservano eccessi di mortalità, soprattutto neoplastica e anche di malformazioni congenite, nonostante in diversi di questi siti le attività industriali, avviate soprattutto nel secondo dopoguerra, siano state dismesse oppure sottoposte ad interventi di bonifica. Questo per sottolineare quanto diffusivi e persistenti siano gli effetti di certe scelte che si limitano a valutare i benefici nel breve periodo, ignorando totalmente la dimensione del futuro, anche di quello più prossimo. Sull’altare dell’occupazione e del mitico progresso, le forze sociali tutte, più o meno inconsapevolmente, hanno infatti sacrificato l’equilibrio idrogeologico e la stessa salubrità del territorio. Cosi si sono costruite e poi abbandonate le periferie di molte città, in funzione delle esigenze di un ciclo economico manufatturiero che, per ragion di mercato, si è progressivamente spostato sempre più a Oriente, come abbiamo potuto tutti quotidianamente sperimentare durante la pandemia Covid.

Le nicchie produttive ad alta qualità tecnologica non mancano certamente in Italia, però il loro impatto sul PIL rimane marginale. Anche le nostre spiagge e montagne hanno versato il proprio contributo e più di tanto non possono rendere, quindi si è guardato ai “gioielli di famiglia”: le città d’arte. E senza far tesoro alcuno dell’esperienza storica, si è abbracciata l’ennesima monocultura da sfruttare fino all’ultima goccia, con la miopia di sempre. Sono infatti molte ormai le città d’arte travolte dalle ondate turistiche. Per far fronte alla crescente domanda alberghiera, accanto ai più noti B&B si sono aggiunte le cosiddette affittanze turistiche, cioè la cessione in affitto, da pochi giorni fino a qualche settimana, di appartamenti tradizionalmente destinati alla locazione residenziale. I vantaggi consistono nel mantenere sempre la disponibilità del bene e nel poter esigere canoni giornalieri superiori a quelli alberghieri.
E’ vero che il deperimento è inevitabilmente maggiore, cui si aggiungono i costi per la pulizia e i servizi accessori di prenotazione su piattaforma web, ma il margine di guadagno rimane comunque sempre favorevole, soprattutto quando la gestione viene assunta direttamente dal proprietario dell’immobile o quando si riesce ad evadere più o meno parzialmente il fisco, operazione che risulta più difficile per una classica struttura alberghiera.
Gli effetti sono stati un crollo dell’offerta di locazione tradizionale con un correlato caro-affitti. Ed ecco che i contesti urbani hanno subìto un pesante stravolgimento: i residenti, soprattutto se giovani, hanno abbandonato queste città migrando nei più economici comuni limitrofi e i negozi di vicinato, in conseguenza del venir meno della residenzialità, hanno ceduto l’attività a soggetti economici subentranti più allineati con la domanda turistica. Accanto ai negozi paccottiglia, ecco il proliferare di bar, ristoranti e minimarket, o meglio di fantasiose loro ibridazioni. La tendenza è inesorabile: ai piani inferiori degli edifici dei centri storici si mangia o si parcheggia l’auto nei limitrofi locali riconvertiti in garage, ai piani superiori si alloggia per brevi vacanze.
La superficie urbana non va sprecata e del riscaldamento climatico bisogna pur approfittare, quindi si espandono i plateatici nel tempo stagionale e nello spazio urbano, occupando piazze e vie, e se possibile anche qualche marciapiede. Pazienza per i disabili. La città storica diventa come il maiale: non si butta via nulla. Se poi assomiglia ad una grande mensa all’aperto, si dice che è un centro vivo e non un cimitero, soprattutto quando i plateatici sono allietati fino a notte fonda con musica da discoteca e vocianti compagnie. La produzione di rifiuti diventa esponenziale e le Ztl devono cedere le maglie alla necessità di continui rifornimenti alimentari, cambi biancheria, servizi catering, manutenzioni da accresciuta usura, mobilità degli ospiti nelle strutture recettive. Sacrati e monumenti diventano aree picnic per turisti meno danarosi. Massimo spazio alla platea dei consumatori.

I residenti sopravvissuti, spesso anziani, resistono ormai blindati nei propri appartamenti, ma mostrano sempre più evidenti segni di grave malessere. E di queste città abbandonate alla totale deregulation urbanistica cosa rimane? Vuoti simulacri, ma non solo. La connessione comunitaria è un importante determinante della salute in grado di compensare molte fragilità individuali, soprattutto quando il welfare subisce importanti cedimenti come sta drammaticamente accadendo in questi ultimi anni con la conseguente accentuazione delle disuguaglianze sociali.
La salute è lo specchio dell’ambiente in cui viviamo. Ambiente non è però solo Natura ma anche Cultura. Prendersene cura sotto tutti i profili è il momento fondativo del concetto di One Health.
L'articolo L’economia italiana è cresciuta ignorando i danni prodotti all’ambiente: così la salute ne risente proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Author: Paolo Ricci
PublishedDate: 2024-04-07
Category: Italy
NewsPaper: Il Fatto
Tags: Blog, Società, Caro Affitti
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Le nicchie produttive ad alta qualità tecnologica non mancano certamente in Italia, però il loro impatto sul PIL rimane marginale. Anche le nostre spiagge e montagne hanno versato il proprio contributo e più di tanto non possono rendere, quindi si è guardato ai “gioielli di famiglia”: le città d’arte. E senza far tesoro alcuno dell’esperienza storica, si è abbracciata l’ennesima monocultura da sfruttare fino all’ultima goccia, con la miopia di sempre. Sono infatti molte ormai le città d’arte travolte dalle ondate turistiche. Per far fronte alla crescente domanda alberghiera, accanto ai più noti B&B si sono aggiunte le cosiddette affittanze turistiche, cioè la cessione in affitto, da pochi giorni fino a qualche settimana, di appartamenti tradizionalmente destinati alla locazione residenziale. I vantaggi consistono nel mantenere sempre la disponibilità del bene e nel poter esigere canoni giornalieri superiori a quelli alberghieri.

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E’ vero che il deperimento è inevitabilmente maggiore, cui si aggiungono i costi per la pulizia e i servizi accessori di prenotazione su piattaforma web, ma il margine di guadagno rimane comunque sempre favorevole, soprattutto quando la gestione viene assunta direttamente dal proprietario dell’immobile o quando si riesce ad evadere più o meno parzialmente il fisco, operazione che risulta più difficile per una classica struttura alberghiera.

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Gli effetti sono stati un crollo dell’offerta di locazione tradizionale con un correlato caro-affitti. Ed ecco che i contesti urbani hanno subìto un pesante stravolgimento: i residenti, soprattutto se giovani, hanno abbandonato queste città migrando nei più economici comuni limitrofi e i negozi di vicinato, in conseguenza del venir meno della residenzialità, hanno ceduto l’attività a soggetti economici subentranti più allineati con la domanda turistica. Accanto ai negozi paccottiglia, ecco il proliferare di bar, ristoranti e minimarket, o meglio di fantasiose loro ibridazioni. La tendenza è inesorabile: ai piani inferiori degli edifici dei centri storici si mangia o si parcheggia l’auto nei limitrofi locali riconvertiti in garage, ai piani superiori si alloggia per brevi vacanze.

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La superficie urbana non va sprecata e del riscaldamento climatico bisogna pur approfittare, quindi si espandono i plateatici nel tempo stagionale e nello spazio urbano, occupando piazze e vie, e se possibile anche qualche marciapiede. Pazienza per i disabili. La città storica diventa come il maiale: non si butta via nulla. Se poi assomiglia ad una grande mensa all’aperto, si dice che è un centro vivo e non un cimitero, soprattutto quando i plateatici sono allietati fino a notte fonda con musica da discoteca e vocianti compagnie. La produzione di rifiuti diventa esponenziale e le Ztl devono cedere le maglie alla necessità di continui rifornimenti alimentari, cambi biancheria, servizi catering, manutenzioni da accresciuta usura, mobilità degli ospiti nelle strutture recettive. Sacrati e monumenti diventano aree picnic per turisti meno danarosi. Massimo spazio alla platea dei consumatori.

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I residenti sopravvissuti, spesso anziani, resistono ormai blindati nei propri appartamenti, ma mostrano sempre più evidenti segni di grave malessere. E di queste città abbandonate alla totale deregulation urbanistica cosa rimane? Vuoti simulacri, ma non solo. La connessione comunitaria è un importante determinante della salute in grado di compensare molte fragilità individuali, soprattutto quando il welfare subisce importanti cedimenti come sta drammaticamente accadendo in questi ultimi anni con la conseguente accentuazione delle disuguaglianze sociali.

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La salute è lo specchio dell’ambiente in cui viviamo. Ambiente non è però solo Natura ma anche Cultura. Prendersene cura sotto tutti i profili è il momento fondativo del concetto di One Health.

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